Il ministro degli esteri Gentiloni e il ministro della difesa Pinotti ormai parlano apertamente di intervento in Libia. “L’Italia è pronta a guidare in Libia una coalizione di paesi dell’area, europei e dell’Africa del Nord, per fermare l’avanzata del Califfato che è arrivato a 350 chilometri dalle nostre coste. Se in Afghanistan abbiamo mandato fino a 5mila uomini, in un paese come la Libia che ci riguarda molto più da vicino e in cui il rischio di deterioramento è molto più preoccupante per l’Italia, la nostra missione può essere significativa e impegnativa, anche numericamente“, ha dichiarato la Pinotti in un’intervista al Messaggero. A Sky Tg 24 il ministro degli esteri aveva dichiarato: “L’Italia è pronta a combattere”. Quindi il governo Renzi ci sta annunciando l’entrata in guerra del nostro paese per mezzo stampa e senza passare per il Parlamento. Ma, del resto, nella post-democrazia di Renzi dichiarare guerra sarà più facile.
In Italia sarà più facile dichiarare lo stato di guerra con la riforma del Senato. L’allarme è stato lanciato dalla Rete Italiana per il Disarmo che evidenzia come la riforma istituzionale voluta dal governo Renzi, contenga anche la modifica dell’articolo 78 della Costituzione che recita: “Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari”.
La revisione dell’articolo 78 si rende necessaria per effetto della trasformazione dell’attuale Senato in Camera delle autonomie, un’assemblea non elettiva. Con tale modifica anche consiglieri regionali e sindaci avrebbero ottenuto il potere di decidere dello stato di guerra del Paese e si è quindi deciso di escludere il Senato dalla deliberazione prevista dall’art. 78. Il risultato è che la decisione dello stato di guerra viene attribuita alla sola maggioranza semplice.
E quindi ci apprestiamo ad un intervento, dimenticando come a determinare il caos di oggi in Libia è stato il nostro intervento precedente. E, a catastorfi create, il governo Renzi vuole sommare altri drammatici errori in un paese distrutto dalla miopia (nella migliore delle ipotesi) della visione della Nato in politica estera. Era il 2011 e l’allora (per pochi medi ancora) presidente della Libia Gheddafi lanciava questo allarme: “Ci sarà una jihad di fronte a voi, nel Mediterraneo“, che in pochi hanno colto, ma che letto ora suona come l’epitaffio di un’organizzazione (l’Alleanza Atlantica) che serve oggi solo per il disordine mondiale. Serve a creare, in altri termini, nuovi problemi drammattici, dei quali poi si propone come soluzione per poi scoprire che ha creato una situazione ancora più drammatica di quella precedente. E così via…
«Ma è la realtà! In Tunisia e in Egitto c’è il vuoto politico. Gli estremisti islamici già possono passare di lì. Ci sarà una jihad di fronte a voi, nel Mediterraneo. La Sesta Flotta americana sarà attaccata, si compiranno atti di pirateria qui, a 50 chilometri dalle vostre frontiere. Si tornerà ai tempi di Barbarossa, dei pirati, degli Ottomani che imponevano riscatti sulle navi. Sarà una crisi mondiale, una catastrofe che dal Pakistan si estenderà fino al Nord Africa. Non lo consentirò!».
Lei sembra pensare che il tempo giochi in suo favore…
«Sì, perché il popolo è frastornato per quel che accade. Ma voglio farle capire che la situazione è grave per tutto l’Occidente e tutto il Mediterraneo. Come possono, i dirigenti europei, non capirlo? Il rischio che il terrorismo si estenda su scala planetaria è evidente».
E, infine, in una bella intervista su Stato e potenza, il direttore di Scenari Internazionali Andrea Fais spiega bene le responsabilità dell’occidente nella distruzione attuale della Libia. Ex alleati nella deposizione di Gheddafi che ora si vuole combattere: il leit motiv ricorrente di una classe politica occidentale che ha sbagliato ogni scelta (e non era facile se ci pensate) era possibile sbagliare negli ultimi quattro anni. Qualcuno fermi, quindi, Gentiloni e Pinotti, non proprio due statisti in grado di gestire gli eventi drammatici che la Nato ha creato a pochi chilometri dalle nostre coste.
In primo luogo, quali sono le cause del forte e crescente successo dell’ISIS in Libia?
Credo che non si possa parlare di un vero e proprio successo per quanto riguarda l’ISIS in Libia. Se non altro, non in termini militari. L’intera rete terroristica di al-Bagdadi ha piuttosto riempito tutti quei grandi spazi di manovra e quei “buchi neri” creati da quattro anni di guerre civili e destabilizzazioni. Delegittimati dall’Occidente, forse spiazzato di fronte all’emergere di proteste popolari nel mondo arabo, i sistemi non-confessionali governati da Ben Alì, Gheddafi, Mubarak e Assad hanno incontrato enormi difficoltà nel contrasto alle fazioni oppositrici, tanto che solo la Siria ha finora saputo resistere all’avanzata del jihadismo. Col sostegno economico e logistico dell’Arabia Saudita e del Qatar (per altro in competizione anche tra loro), i tanti gruppi che compongono la galassia dell’Islam politico hanno potuto agire indisturbati per troppo tempo. La Libia è un Paese in guerra dal marzo 2011 e il caos venutosi a creare sin dall’avvio dell’operazione NATO Odyssey Dawn ha creato le condizioni ideali per molti “signori della guerra”: vecchi arsenali completamente incustoditi, giacimenti petroliferi abbandonati e strumentazioni logistiche lasciate sul terreno dalle milizie di Gheddafi, ormai sconfitte. La posizione strategica della Libia nel cuore del Mediterraneo meridionale ha fatto e sta facendo il resto.
Quali responsabilità ha l’Occidente in tutto questo, a partire dal 2011?
Non solo l’Occidente, ma anche la Turchia e Israele hanno, a vari livelli, notevoli responsabilità. Ad eccezione della Germania, che fu certamente il più lungimirante tra i Paesi europei, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Italia interpretarono – stravolgendone di fatto il dettato – la no-fly zone votata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU alla stregua di un mandato di guerra. Sebbene vi siano ancora incertezze sull’effettiva presenza a terra di truppe della coalizione NATO, i raid aerei e navali hanno colpito indistintamente numerosi siti civili e militari, ben oltre i semplici depositi aerei previsti al fine di impedire il sorvolo all’Aviazione libica.
Destino analogo sarebbe toccato alla Siria, se la Russia e la Cina col loro veto non avessero impedito in sede ONU una nuova, e ancor più pericolosa, missione militare della NATO. Tuttavia, nel caso siriano, da un lato Ankara ha consentito il transito di miliziani islamisti sul proprio territorio portando nel 2013 il Paese ad un passo dalla guerra aperta con la Siria, dall’altro Tel Aviv ha colpito a più riprese Damasco con la propria Aviazione. Egemonia regionale, “umanitarismo”, alture del Golan ecc. … Quali che fossero i vari motivi geopolitici della contesa, la guerra dei nervi condotta contro Assad è diventata ogni giorno più assurda e illogica, e ha portato soltanto tragedie.
“Destino analogo sarebbe toccato alla Siria“, se Russia e Cina non avessero impedito con il loro veto all’Onu l’attuazione della politica Nato che ha distrutto la Libia. Assad è sempre stato un bastione contro il terrorismo e il fondamentalismo islamico e non a caso gli Stati Uniti e la Nato hanno cercato in tutti i modi di deporlo, finanziando (con Arabia Saudita e Qatar) e creando l’ISIS. Non azioni unilaterali annunciate ai media scavalcando il Parlamento, quindi, ma un’azione condivisa nelle Nazioni Unite è l’unica soluzione oggi possibile dopo i disastri occidentali in Libia, dove, nessuno lo ricorda, si è realizzata esattamente la profezia di Gheddafi del marzo 2011. Nei seggi permamenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, questa è la fortuna dell’Italia e degli altri paesi dell’Alleanza Atlantica, ci sono nazioni con una visione più lungimirante di quella della Nato.