Come già accaduto nel 2013 a Fiumicino, sembra che il terreno dove sorge Roma non trovi pace. In alcuni luoghi della zona dei Castelli Romani, infatti, c’è il rischio che anidride carbonica e altri gas vulcanici possano salire dalle viscere della terra dando origine ad una nebbia letale. Gli esperti dell’istituto nazionale di fisica e vulcanologia mettono in guardia dal fenomeno del “degassamento” a causa del progressivo prosciugamento delle falde acquifere. E’ Fedora Quattrocchi dell’Ingv a spiegare quanto accaduto in un terreno privato tra via Anagnina e via della Mola Cavona, dove si è verificata una fuoriuscita di gas e fanghi vulcanici: “Come già successo in precedenza – spiega Quattrocchi – scavando nel terreno si può incontrare la presenza di “pozzi” di gas vulcanico, tipico della zona dei Colli Albani. Solo in questa zona della provincia di Roma, da una mappatura effettuata se ne trovano 600“.
La fuga di gas vulcanici in zona Anagnina è avvenuta lo scorso 12 maggio e le case immediatamente adiacenti la zona sono state evacuate. “Alcuni residenti lamentano anche un forte odore di zolfo” – secondo Quattrocchi – “visto il rischio presente nel quadrante e i diversi episodi che si sono verificati, non basta coprire solo con una colata di cemento ma occorre prevedere una copertura lasciando un buco per un monitoraggio preciso e puntuale sullo stato di depauperamento del suolo“.
Il fenomeno interessa principalmente Ciampino, Morena, Marino, la zona dell’Anagnina, Trigoria, Ardea e Tor Caldara, le zone più a rischio.
“In alcuni settori dell’area albana, tuttavia – si legge in uno studio dell’Ingv – le acque circolanti nelle successioni vulcaniche ricevono importanti input di gas (soprattutto Co2) dal basso, suggerendo la presenza di uno strato di roccia impermeabile all’acqua, ma permeabile ai gas (per esempio le successioni argillose plioceniche). Tali dati, in accordo con l’estrema localizzazione del fenomeno di degassamento (Cava dei Selci e Zolforata) suggeriscono che l’emissione dei gas avviene in zone ad alta densità di fratturazione e/o dove queste fratture sono rapidamente riattivate. Questa ipotesi è supportata dallo studio degli speleotemi degli ultimi 2000 anni i quali rivelano una emissione pulsante di Co2“.
Un altro obiettivo degli studi effettuati dall’Ingv “è l’individuazione di eventuali fenomeni di roll over nelle acque del Lago di Albano che potrebbero innescare pericolose emissioni di gas tipo quelle verificatesi al Lago di Nyos” in Camerun dove alle 9:30 del 21 agosto del 1986 un enorme nube di anidride carbonica si sprigionò all’improvviso e con violenza dal cuore della terra avvolgendo le valli circostanti con una nebbia letale che uccise ben 1700 persone assieme a migliaia di capi di bestiame e altri animali.
Per questo rischio degassamento rileva l’Ingv “sarebbe prezioso avviare una mappatura precisa e puntuale, anche per la salute dei cittadini“, perché i gas prodotti possono in alcuni casi superare la soglia di attenzione. Negli anni sono tanti gli studi condotti in questa zona del Lazio, “studi che sono rimasti nei cassetti della policy“.
Gli studi degli esperti dell’Istituto di Geofisica e Vulcanologia gettano ombre inquietanti sul complesso vulcanico dei Colli Albani, il super vulcano il cui cratere abbraccia Albano, Castel Gandolfo, Marino, Grottaferrata, Rocca Priora, Velletri e Genzano di Roma, quiescente sin dall’inizio del IV secolo avanti Cristo ma che mantiene una discreta attività con emissioni gassose anche altamente tossiche, deformazioni nel terreno e frequenti scosse sismiche.
I tecnici dell’Ingv non si sbilanciano ma mettono le mani avanti: secondo recenti studi infatti il vulcano laziale potrebbe riprendere la propria attività eruttiva in un futuro “più o meno lontano”. Se ciò dovesse succedere l’intera area dei Colli Albani e i milioni di abitanti che vivono a Roma si troverebbero in una zona ad alto rischio.