Ma dove sono gli extraterrestri? Il programma Seti non dà frutti, è il sistema globale di ascolto dei segnali radio dallo spazio, in cerca di emissioni elettromagnetiche non naturali, che finora non ha trovato ET, eppure va avanti da decenni.
Chi ha fede dice che bisogna continuare, ma c’è chi si è stufato e pensa che se nella nostra porzione di galassia ci fossero degli esseri intelligenti, ne avremmo già colto i segnali, così alcuni ricercatori stanno ora affrontando il problema con un approccio diverso, basato su un’intuizione del fisico Freeman Dyson.
L’idea è vecchia, risale al 1960, ma era finita in naftalina per lasciare spazio proprio al Seti e viene ripescata solo adesso, il ragionamento è questo, l’umanità intercetta appena lo 0,01% dell’energia solare che investe la Terra, ammesso che la civiltà continui a svilupparsi, se l’uso dell’energia solare aumentasse dell’1% all’anno (un’ipotesi prudente) nel giro di mille anni consumeremmo tutta l’energia che arriva man mano dal Sole, e non sarebbe possibile alcuna crescita ulteriore.
Come faremmo allora a crescere nel prossimo milione di anni? Fusione nucleare e altre ipotesi del genere non sarebbero vere soluzioni, perché, una volta raggiunto il limite del 100% dell’energia solare, ogni produzione ulteriore di energia sulla Terra la surriscalderebbe inesorabilmente, e lo farebbe in modo cumulativo (se il riscaldamento globale già in atto non ci avesse fregato prima), finiremmo arrosto.
Allora come fare? Ipotesi 1: consumare meno, consumare niente, ipotesi 2: secondo Dyson, potremmo costruire delle grandi centrali fotovoltaiche nello spazio, costruirne sempre di più, millennio dopo millennio e dovremmo anche andare ad abitare nei loro paraggi, cioè proprio nello spazio, visto che tutta quell’energia extra non potrebbe essere convogliata verso la Terra, per le stesse esigenze di equilibrio termico dette prima.
Spingendo il ragionamento alle sue conseguenze logiche, Dyson osserva che la stella Sole si troverebbe sempre più circondata da centrali fotovoltaiche e dopo un milione di anni ne sarebbe avviluppata e questa struttura è stata battezzata “sfera di Dyson”.
Visto che l’Universo esiste da 13,7 miliardi di anni, eventuali civiltà extraterrestri avrebbero avuto tutto il tempo di realizzare sfere di Dyson qua è là, Come faremmo a individuarle? Non è difficile, le stelle così circondate da impianti fotovoltaici spaziali emetterebbero poca luce, perché questa sarebbe in massima parte intercettata e (alla fine del processo) degradata a raggi infrarossi; però quella stella disperderebbero la stessa quantità di calore originaria, ecco allora quello che bisogna cercare: stelle per le quali esista un grande scarto fra una forte emissione infrarossa e una debole emissione luminosa.
In realtà servirebbe un dato in più, rispondono al requisito di cui sopra tutte le stelle molto giovani o molto vecchie, perché sono circondate da polvere e gas che filtrano la luce ma non trattengono il calore, e questo può confonderci le idee, ma non è un problema: lo spettro infrarosso di queste stelle è molto variato, dipende dai vari elementi eccitati dalla loro radiazione.
Invece lo spettro di emissione di una rete di centrali fotovoltaiche che avviluppano una stella sarebbe più omogeneo: Matt Povich del Politecnico di Pomona (California) dice che “più lo spettro è noioso, meglio è”, perché l’uniformità aumenta la probabilità che ci troviamo di fronte non a un fenomeno naturale, ma all’esito di un’azione intelligente.
La ricerca ha il vantaggio di non richiedere grandi investimenti: basta scandagliare e interpretare la mole di dati su milioni di stelle che vengono già raccolti quotidianamente per gli scopi più diversi.
Altri ricercatori accettano le premesse di Dyson, ma fanno un’obiezione, “Sarebbe strano, dice Jason Wright, della Penn State University, se in una galassia trovassimo solo due o tre sfere di Dyson”.
Perché? “Perché se una civiltà conquista un intero sistema stellare, non si ferma, dilaga”, ecco allora che la ricerca non va fatta su singole stelle, ma su intere galassie che presentano un deficit di luce rispetto alla radiazione infrarossa.
Ma c’è un’obiezione anche più pesante, se una civiltà extraterrestre dispone di mezzi così notevoli, il modo più sensato per sfruttare le stelle, osserva qualcuno, non è di costruirci attorno una sfera di Dyson, ma di farcene tante, una dentro l’altra, come una matrioska, in modo che ogni sfera raccolga una parte del calore emesso dall’altra.
Fino a che punto? Fino al punto in cui nella sfera più esterna il calore è degradato alla temperatura della radiazione cosmica di fondo, cioè 3 gradi sopra lo zero assoluto, ma allora da Terra non potremmo rilevare niente: né le stelle avviluppate né la galassia che le contiene, tutto sarebbe confuso nella radiazione di fondo, e allora come facciamo a individuare ET?
Lucianne Walkowitz, di Princeton, dice che, anziché lontano, bisogna guardare vicino, al massimo 3 mila anni luce, la distanza entro cui possiamo individuare le variazioni orbitali che sarebbero indotte nei sistemi stellari dalla presenza di impianti fotovoltaici spaziali.
Certo, a priori non potremmo sapere se si tratta di corpi celesti naturali o di costruzioni artificiali, ma la Walkowitz sottolinea che a distanze non troppo grandi si potrebbe rilevare anche la forma degli oggetti orbitali e osserva che “se fotografassimo un rettangolo grande come Giove, potremmo azzardare che sia il prodotto di un’intelligenza extraterrestre”.