L’astrobiologo Richard Hoover ha lavorato per oltre 46 anni alla NASA come fondatore e direttore dell’Astrobiology Research Group che ha sede in Alabama presso il Marshall Space Flight Center.
E’ divenuto famoso, a livello internazionale, per le sue affascinanti ricerche sui microfossili nei meteoriti che lo hanno portato a pubblicare numerosi articoli scientifici nei quali afferma di aver individuato più volte tracce di vita aliena nei reperti esaminati.
Oggi Hoover non lavora più per l’Ente spaziale ma continua ad occuparsi delle sue ricerche presso l’Athens State University oltre ad insegnare la materia presso il Centro di Astrobiologia dell’Università di Buckingham.
Hoover è intervenuto come ospite, nei giorni scorsi, all’annuale edizione dell’International Ufo Congress di Maricopa (Arizona), unitamente a molti altri scienziati, esperti del settore e noti giornalisti come Lee Spiegel, dell’Huffington Post.
Proprio quest’ultimo, ha chiesto allo scienziato di chiarire pubblicamente quali sono le sue convinzioni personali circa la possibile presenza di vita nell’universo: “Sono assolutamente convinto che la vita non sia limitata al pianeta Terra” ha esordito Hoover, “perché ho trovato i resti di forme di vita aliena durante le mie ricerche.
Purtroppo il resto della comunità scientifica non accetta il confronto in un forum scientifico aperto a tutti, mentre io sarei disposto a farlo pubblicamente, dibattendo accademicamente e scientificamente i risultati ottenuti. Nel 2004, il Rover Opportunity catturò le immagini di una curiosa roccia marziana che presentava al suo interno organismi le cui caratteristiche erano riconducibili ai crinoidi presenti sul nostro pianeta. I crinoidi sono echinodermi simili a stelle marine e quindi animali.
Con questo voglio dire che le immagini giunte da Marte ci diedero la prova della possibile presenza di fossili sul pianeta, ma poco dopo la prova venne distrutta dal passaggio del Rover sul terreno”.
A seguito di questo evento, l’astrobiologo chiese ai suoi colleghi i motivi per cui una scoperta così importante fosse stata distrutta: gli fu risposto che il motivo era quello di scoprire se all’interno della roccia, fosse presente il carbonio.
Tale affermazione risulta piuttosto evasiva e superficiale poiché è noto, tra gli addetti ai lavori, che dove c’è un fossile non necessariamente deve esserci presenza di carbonio. Ne consegue quindi che, secondo lo scienziato, la distruzione di quella struttura fu una cosa voluta e non fortuita come la NASA volle invece far intendere all’epoca.
Chi diede quell’ordine, indubbiamente, aveva delle ragioni ben precise che andrebbero sicuramente approfondite anche attraverso il parere di scienziati ed altri ex appartenenti all’ente spaziale americano.