È ormai risaputo che sismi, frane, valanghe sono fenomeni non prevedibili, ma in alcuni casi potrebbero rispettare alcune scadenze prestabilite, è questo che si evince da uno studio dell’Istituto per l’energetica e le interfasi del Consiglio nazionale delle ricerche (Ieni-Cnr) di Milano.
L’esperimento, realizzato in collaborazione l’Università di Yale e Cornell e con l’Afrl-Air Force Research Laboratory (Usa) dove spiega Stefano Zapperi, coautore dello studio e ricercatore dello Ieni-Cnr: «Sappiamo che le catastrofi sono il risultato del lento accumularsi di una perturbazione esterna: la neve che si deposita sul pendio o il moto di una faglia».
«In laboratorio i nostri collaboratori dell’Afrl hanno prodotto dei micro-terremoti di intensità variabile comprimendo colonnine di nichel di dimensioni micrometriche e, come in altri esperimenti di questo tipo, abbiamo osservato che avvenivano in maniera del tutto casuale».
Ma variando la velocità di compressione delle colonnine, i ricercatori hanno «constatato che esiste un regime in cui i micro-terremoti avvengono in maniera quasi periodica, come se seguissero un calendario», prosegue Zapperi.
«Abbiamo inoltre dimostrato teoricamente che tale periodicità è dovuta alla competizione tra due effetti: la risposta ‘catastrofica’ dei micro-terremoti e una risposta lenta di sottofondo, che nella maggior parte dei casi rimane inosservata ma quando la risposta di sottofondo avviene alla stessa velocità della sollecitazione esterna, l’evento catastrofico si verifica in modo quasi periodico».
Secondo la teoria proposta questo meccanismo è generale e dovrebbe valere anche per sistemi di dimensioni molto più grandi «Lungo una faglia, ad esempio,tra un terremoto e un’ altro, l’energia viene spesso rilasciata anche tramite il lento fluire di acqua e la teoria suggerisce che se la velocità del flusso fosse simile a quella della faglia i terremoti potrebbero avvenire in modo quasi-periodico», precisa Zapperi.
La teoria spigherebbe così alcune passate osservazioni di terremoti periodici: «Ma per questo sarà necessario rianalizzare e reinterpretare una vasta mole di dati sperimentali», conclude il ricercatore dello Ieni-Cnr, a capo del progetto ‘Sizeffects’, finanziato dall’European Reseach Council.