Esiste la pietra filosofale, tra le cui capacità ci sarebbe stata quella di tramutare i metalli vili in oro? Secoli di alchimia e di chimica hanno dimostrato di no, ma una nuova installazione a metà tra arte e scienza sembra aver trovato nella biologia una nuova risposta alla domanda.
I ricercatori della Michigan State University hanno utilizzato il batterio Cupriavidus metallidurans per creare minuscole pepite d’oro a partire dal cloruro aurico (AuCl3), un sale d’oro dell’acido cloridrico estremamente tossico per la maggior parte delle forme di vita conosciute.
Il Cupriavidus metallidurans è un batterio che può essere considerato a tutti gli effetti un estremofilo per via della sua capacità di resistere ad alte concentrazioni di metalli pesanti. E’ un microrganismo che ha già trovato applicazioni pratiche in campo scientifico e industriale, ad esempio nel rilevamento di metalli pesanti in ambienti contaminati, ma l’utilizzo pensato dal gruppo di Kazem Kashefi, professore di microbiologia dell’università, è del tutto nuovo e inaspettato.
“Stiamo facendo alchimia microbica, trasformiamo qualcosa che non ha valore in un metallo prezioso solido dotato di valore” ha spiegato Kashefi. “E’ neo-alchimia, ogni parte e ogni dettaglio del progetto sono a metà strada tra la moderna microbiologia e l’alchimia.
Anche un altro microrganismo, il Delftia acidovorans, è noto per la sua abilità di scomporre il cloruro aurico in oro, ma ha la spiacevole abilità di trasformare il metallo prezioso in nanoparticelle che tengono ad accumularsi nel terreno sotto forma di pepite dopo un tempo francamente troppo lungo per un’esposizione artistica.
Il C. metallidurans si è dimostrato resistente ai metalli pesanti ben 25 volte di più di quanto si sospettasse in precedenza, ed è anche per questo motivo che è stato scelto per l’installazione artistica dal titolo “The Great Work of the Metal Lover”, un esperimento ai confini tra arte e scienza in cui il batterio crea oro a 24 carati all’interno di un bioreattore.
Kashafi e Brown hanno alimentato i C. metallidurans con dosi massicce di cloruro aurico, dosi che tuttavia non sembrano aver avuto conseguenze sul metabolismo di questi batteri che come sottoprodotto della digestione del cloruro aurico, i C. metallidurans producono piccole pepite d’oro, visibili attraverso il vetro del bioreattore.
Se già state volando con la fantasia immaginando enormi bioreattori popolati da C. metallidurans che sfornano pepite d’oro a non finire, i ricercatori tengono a precisare che riprodurre il loro esperimento su larga scala sarebbe del tutto proibitivo in termini di costi.
Ma la ricerca sul C. metallidurans, oltre a fornire preziose informazioni sulle conseguenze cellulari della contaminazione da metalli pesanti, potrebbe aiutare a trovare nuove strade per l’approvvigionamento di alcuni elementi così importanti per l’economia moderna, strade possibilmente più ecosostenibili di quelle percorse oggigiorno.